In memoria di Giulia e delle sue sorelle: lettera contro la violenza di genere

Ogni volta che un uomo compie un atto di violenza nei confronti di una donna, distrugge una vita e mette in discussione il concetto di umanità. È inaccettabile che nel XXI secolo le donne debbano vivere con la paura costante di essere oggetto di violenza, di essere sottoposte al controllo e alla brutalità di chi dovrebbe invece rispettarle. Il femminicidio è un’ombra sulla coscienza della società, una ferita che non si rimargina. La violenza di genere non può essere minimizzata o ignorata: richiede una dolorosa presa di posizione, una condanna unanime e una reazione decisa da parte di tutti noi in un atto di responsabilità collettiva. Oggi partecipiamo al grido di rabbia delle donne, per dichiarare con fermezza che la vita di ogni donna è sacra e inviolabile. Dobbiamo smantellare le mentalità patriarcali, che alimentano il senso di superiorità maschile e spingono all’oppressione. Giulia Cecchetin non sarebbe mai dovuta diventare famosa. O, al massimo, la fama avrebbe dovuto raggiungerla grazie ad un’importante scoperta scientifica, a un suo libro o produzione artistica. Invece, come tutte le altre prima di lei (e probabilmente le altre dopo di lei), è grazie alla cronaca nera se la sua faccia finisce online e diventa di dominio pubblico. Una cronaca che la violenza la normalizza, parlandone come se si trattasse di sport, come se non fosse un’emergenza. Siamo emotivamente saturati di fronte a questo tipo di narrazione, e la verità è che non se ne può più. In un giorno come il 25 novembre, in cui dovremmo riflettere sulla lotta contro la violenza di genere, ci troviamo ancora una volta a dover piangere l’ennesima (giovanissima) vita spezzata a causa del femminicidio, quella di Giulia, ritrovata morta a Pordenone dopo alcuni concitati giorni di frenetica ricerca. Giulia e il suo omicida Filippo Turetta, collega di Università, secondo alcuni si

amavano, Filippo è il classico bravo ragazzo che è giusto proteggere e non colpevolizzare
preventivamente, perché non farebbe mai qualcosa del genere. L’omicidio di Stato di una giovane donna in procinto di laurearsi in ingegneria biomedica è una ferita aperta che grida giustizia e richiede un’immediata azione sociale, un’azione di fratellanza e pacifica non violenza. È il frutto avvelenato di un amore tossico, della gelosia, del possesso e di una violenza mascherata da sentimenti distorti. È una conseguenza tragica della mancanza di rispetto per la dignità e l’autonomia delle donne, spesso sottovalutate e non ascoltate quando chiedono aiuto. Mancanza di rispetto e violenza che diventano fenomeni istituzionali, leggendo le dichiarazioni di alcuni esponenti politici sulla vittima e sulla sua famiglia. Oggi, mentre commemoriamo le vittime di questa violenza aberrante, dobbiamo rinnovare il nostro impegno per combattere la cultura dell'oppressione e dell’abuso. Affinché il 25 novembre non sia solo una data nel calendario, ma un simbolo della necessità di un cambiamento sociale radicale, affinché Giulia sia davvero l’ultima. Gridiamolo insieme.

Alla famiglia di Giulia, e alle famiglie orfane delle loro donne, va l’abbraccio del Premio.

https://www.youtube.com/watch?v=G4EdJkuTgVI